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CORI

L’inconfondibile profilo che di Cori si è avuto nel corso dei secoli deve molto agli scrittori di epoca classica che ne hanno parlato…

Tra essi menzioniamo Virgilio. Egli nel v. 775 del libro VI dell’Eneide ricorda Cori ( Cora ) come una delle città fondate dai Re Albani. Così Virgilio scrive nei vv. 773-776: Hi tibi Numentum et Gabios urbemque Fidenam,/ hi Collatinas imponent montibus arces,/ Pometios Castrumque Inui Bolamque Coramque:/ haec tum nomina erunt,nunc sunt sine nomine terrae ( Questi Nomento, Gabi e la città di Fidene, questi altri t’alzeranno sopra i monti, le rocche di Collazia, Pomezia e Castro d’ Inuo, e Bola e Cora: terre ancora ignorate e senza nome, queste così si chiameranno allora.).
Le fonti letterarie  fanno da cassa di risonanza del prestigio monumentale di Cori, che presenta nella sua articolata struttura interna con una divisione dell’ abitato in due parti , Cori-monte e Cori-valle,  opere riconducibili al periodo romano, medievale e moderno, alcune delle quali conservate in un discreto stato.
Le strade strette, gli spettacolari scorci prospettici, i connotati stilistici dell’architettura prevalentemente medievale con inserimenti di epoca moderna, che caratterizza l’ interno del perimetro urbano e il suo centro storico, rendono più viva e  significativa la collocazione “strategica” di complessi religiosi all’ interno della fitta orditura viaria o in prossimità della città .
In piena epoca romana (I sec. a. C.) risalgono opere quali: il Tempio d’Ercole, posto nell’acropoli di Cori alto; il Tempio di Castore e Polluce, il Pozzo Dorico, il Ponte della Catena nella parte bassa della città, denominata  Cori basso.
Oltre al periodo romano la fioritura delle arti ha prodotto pregevoli testimonianze dell’ingegno creativo attraversando  il Medioevo e l’età moderna. Tra le opere di arte cristiana si possono ammirare l’interessante Oratorio dell’ Annunziata completamente affrescato con scene bibliche e ai lati inferiori delle pareti personaggi modellati con eleganza sapiente e maestosa, la chiesa di S.Oliva con annesso il Museo della Città e del Territorio, la chiesa di S. Francesco con soffitto a cassettoni (1673-1676), coro ligneo e valida pala d’ altare. Pregevoli gli stucchi e le tele dei tre altari sul lato destro, anche se non tutte dello stesso vigore e talento creativo. La collegiata di S.Maria della Pietà conserva un originale candelabro del cero pasquale risalente forse al XII sec. e tele appartenenti ai sec. XVII e XVIII. Nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo è custodita un’ ara  con teste di ariete ai quattro angoli superiori e festoni di frutta che, ritrovata nei pressi del Tempio d’ Ercole, si è ipotizzato fosse l’ altare di questo tempio.
Altri percorsi raffinatissimi possono orientarsi a più livelli verso la chiesa di S.Salvatore, di S.Michele  e  il  Santuario della Madonna del Soccorso, dove irresistibile è la suggestione del paesaggio circostante.

IL COMPLESSO DI  S.OLIVA
La chiesa di S. Oliva e il relativo convento degli Agostiniani è il risultato di una intensa collaborazione e unione di intenti sia a livello intellettuale che politico di due personalità di spicco della temperie storico-religiosa della seconda metà del Quattrocento: il potentissimo Guillaume d’ Estouteville, cardinale di Rouen, nonché vescovo di Ostia e Velletri, e il Priore Generale dell’ ordine agostiniano, Ambrogio Massari, oriundo corese.
E’ soprattutto negli anni tra il 1460 e il 1480 che si infittiscono gli interventi artistici nel complesso monumentale che  coniuga la varietà stilistica dei suoi artefici con la dislocazione a più livelli dei vari ambienti annessi: fra questi notevoli risultati sono raggiunti negli affreschi dell’ abside della cappella del Crocefisso e nei capitelli del chiostro.
Quest’ultimo è forse il luogo in cui il rapporto tra modellato, struttura, spazio si erge a condizione preliminare dello svolgimento del ‘racconto’ nel suo lirismo essenziale. L’ ornato plastico, al di là delle simbologie implicite (chiarite da recenti studi), enuclea le linee-forza del sistema portante, in cui evidente è la connessione logica di tutti i singoli elementi.
In quest’ottica i capitelli della loggia del chiostro rappresentano un momento fondamentale del programma iconografico seguito dalle maestranze che operano nel cantiere. I capitelli e il chiostro in simbiosi univoca esplicitamente confermano citazioni di formule e temi che rimandano non solo alla vicina Roma, ma anche ad ambienti lombardi, veneti, romagnoli, umbri: insomma si verifica una sorta di vero e proprio Altomedioevo rivisitato.
Ridurre l’immagine al netto sbalzo di linee, sollevate per abbassamento di fondo, è solo uno dei tanti elementi descrittivi  e degli intrecci di rimandi che connotano quest’ambiente dal bagaglio culturale estremamente complesso. Inequivocabile l’ armonia  ritmica, l’ austerità delle linee, il bianco modulato in una dimensione ascetica e ultraterrena  con inserimenti di tipologie fisionomiche e di motivi naturalistici. Su tutto il respiro grandioso della misura matematica , intesa come strumento di semplificazione e razionalizzazione dei processi percettivi e operativi. Il quadrato, ad esempio, è, secondo Agostino, il modulor basi, la figura perfetta, che contiene la forma della città celeste descritta dall’ Apocalisse, e sulla sua base diventa fondamentale la moltiplicazione dei semplici rapporti proporzionalmente fissi che  creano lo spazio. Un sistema di semplicità e chiarezza logica, il tutto in un nodo strutturale vincolato alla validità della forma.
Si tratta dunque nel chiostro di una situazione emblematica che risente delle teorie del sistema neoplatonico in quel tempo diffuse  e  che non è da meno della complessità della chiesa di S.Oliva. Qui è l’abside della cappella del Crocefisso (1507, opera, secondo studi non lontani, di Desiderio da Subiaco) che sublima sensazioni ed emozioni in un ideale concezione estetica  che da Agostino arriva alla temperie spirituale della fine del ‘400.
Entrando ci si immerge totalmente in un’ atmosfera visiva di completa rasserenazione ultraterrena, in cui lo spazio è incarnato a misura d’uomo con figure di immediata evidenza e in cui i colori spiccano con pregiata eleganza  nella declinazione di registri timbrici che si svolgono dalle campiture dello sfondo di colore blu alla sua scomposizione fino a toni più chiari, l’ azzurro, ma anche il celeste. Altri colori fortemente “gridati” sono il rosso, il verde, il giallo.
Al di là dei valori stilistici e iconologici, nell’ abside è raffigurata, nella parte alta, l’Incoronazione della Vergine, e, in quella bassa, gli Apostoli, che oltre a presentare il committente, partecipano a ciò che accade in cielo, indicando verso l’ alto con i gesti e con gli occhi, secondo l’ iconografia tradizionale dell’ Assunzione. Gusto cesellato nelle teste, con un segno grafico incisivo e pulito, con un apprezzabile apparato decorativo (ad esempio evidente è la preferenza per il grisaille che incornicia le scene), con un panneggio dalle volute sinuose e tagli particolari dei mantelli fanno pensare alla produzione pinturicchiesca certamente nota alle maestranze che ivi operano.
Siamo indubbiamente su un piano di matura scioltezza ed abilità espressiva che mostra  in profondità la sicurezza lineare di certe espressioni languide e l’anatomia proporzionata, come l’ attimo della tensione emotiva, espresso dagli occhi ora sollevati, ora attoniti, assecondati dal ruotamento leggero delle teste. Il taglio regolare e simmetrico dei visi, la stessa puntigliosa attenzione per dettagli come la capigliatura e la barba, la tunica con le maniche rovesciate, un’ attenzione per l’individuazione fisionomica, la disposizione dei personaggi in un ordine non eccessivamente regolare mostra il connubio fra classicismo e valori gotici che appartengono al prontuario della forma pittorica del Lazio nelle zone di confine  alla fine del ‘400.
Pittura come occasione per presentare valori tattili e di movimento, ma anche per manifestare significati morali e spirituali. La Regina del Cielo, luminosa nella sua purezza e dignità, è circondata da angeli amabili che si sovrappongono l’un l’altro, formando una mandorla mistica e sullo sfondo un trionfo di cherubini: la grazia degli atteggiamenti e la soavità coloristica impreziosisce la superba nobiltà del sentire cristiano.Dalla veduta d’insieme dell’ abside si irradia una bellezza nervosa, sottile, ove misterioso e stranamente penetrante è il suggello lineare che fa divagare il pensiero verso l’ illustrazione spirituale come verso cogitazioni imprecise.

(Dott.ssa Lola Marafini, 22/06/08)
lolamarafini@libero.it

CORI

CORI

L’inconfondibile profilo che di Cori si è avuto nel corso dei secoli deve molto agli scrittori di epoca classica che ne hanno parlato…

Tra essi menzioniamo Virgilio. Egli nel v. 775 del libro VI dell’Eneide ricorda Cori ( Cora ) come una delle città fondate dai Re Albani. Così Virgilio scrive nei vv. 773-776: Hi tibi Numentum et Gabios urbemque Fidenam,/ hi Collatinas imponent montibus arces,/ Pometios Castrumque Inui Bolamque Coramque:/ haec tum nomina erunt,nunc sunt sine nomine terrae ( Questi Nomento, Gabi e la città di Fidene, questi altri t’alzeranno sopra i monti, le rocche di Collazia, Pomezia e Castro d’ Inuo, e Bola e Cora: terre ancora ignorate e senza nome, queste così si chiameranno allora.).
Le fonti letterarie  fanno da cassa di risonanza del prestigio monumentale di Cori, che presenta nella sua articolata struttura interna con una divisione dell’ abitato in due parti , Cori-monte e Cori-valle,  opere riconducibili al periodo romano, medievale e moderno, alcune delle quali conservate in un discreto stato.
Le strade strette, gli spettacolari scorci prospettici, i connotati stilistici dell’architettura prevalentemente medievale con inserimenti di epoca moderna, che caratterizza l’ interno del perimetro urbano e il suo centro storico, rendono più viva e  significativa la collocazione “strategica” di complessi religiosi all’ interno della fitta orditura viaria o in prossimità della città .
In piena epoca romana (I sec. a. C.) risalgono opere quali: il Tempio d’Ercole, posto nell’acropoli di Cori alto; il Tempio di Castore e Polluce, il Pozzo Dorico, il Ponte della Catena nella parte bassa della città, denominata  Cori basso.
Oltre al periodo romano la fioritura delle arti ha prodotto pregevoli testimonianze dell’ingegno creativo attraversando  il Medioevo e l’età moderna. Tra le opere di arte cristiana si possono ammirare l’interessante Oratorio dell’ Annunziata completamente affrescato con scene bibliche e ai lati inferiori delle pareti personaggi modellati con eleganza sapiente e maestosa, la chiesa di S.Oliva con annesso il Museo della Città e del Territorio, la chiesa di S. Francesco con soffitto a cassettoni (1673-1676), coro ligneo e valida pala d’ altare. Pregevoli gli stucchi e le tele dei tre altari sul lato destro, anche se non tutte dello stesso vigore e talento creativo. La collegiata di S.Maria della Pietà conserva un originale candelabro del cero pasquale risalente forse al XII sec. e tele appartenenti ai sec. XVII e XVIII. Nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo è custodita un’ ara  con teste di ariete ai quattro angoli superiori e festoni di frutta che, ritrovata nei pressi del Tempio d’ Ercole, si è ipotizzato fosse l’ altare di questo tempio.
Altri percorsi raffinatissimi possono orientarsi a più livelli verso la chiesa di S.Salvatore, di S.Michele  e  il  Santuario della Madonna del Soccorso, dove irresistibile è la suggestione del paesaggio circostante.

IL COMPLESSO DI  S.OLIVA
La chiesa di S. Oliva e il relativo convento degli Agostiniani è il risultato di una intensa collaborazione e unione di intenti sia a livello intellettuale che politico di due personalità di spicco della temperie storico-religiosa della seconda metà del Quattrocento: il potentissimo Guillaume d’ Estouteville, cardinale di Rouen, nonché vescovo di Ostia e Velletri, e il Priore Generale dell’ ordine agostiniano, Ambrogio Massari, oriundo corese.
E’ soprattutto negli anni tra il 1460 e il 1480 che si infittiscono gli interventi artistici nel complesso monumentale che  coniuga la varietà stilistica dei suoi artefici con la dislocazione a più livelli dei vari ambienti annessi: fra questi notevoli risultati sono raggiunti negli affreschi dell’ abside della cappella del Crocefisso e nei capitelli del chiostro.
Quest’ultimo è forse il luogo in cui il rapporto tra modellato, struttura, spazio si erge a condizione preliminare dello svolgimento del ‘racconto’ nel suo lirismo essenziale. L’ ornato plastico, al di là delle simbologie implicite (chiarite da recenti studi), enuclea le linee-forza del sistema portante, in cui evidente è la connessione logica di tutti i singoli elementi.
In quest’ottica i capitelli della loggia del chiostro rappresentano un momento fondamentale del programma iconografico seguito dalle maestranze che operano nel cantiere. I capitelli e il chiostro in simbiosi univoca esplicitamente confermano citazioni di formule e temi che rimandano non solo alla vicina Roma, ma anche ad ambienti lombardi, veneti, romagnoli, umbri: insomma si verifica una sorta di vero e proprio Altomedioevo rivisitato.
Ridurre l’immagine al netto sbalzo di linee, sollevate per abbassamento di fondo, è solo uno dei tanti elementi descrittivi  e degli intrecci di rimandi che connotano quest’ambiente dal bagaglio culturale estremamente complesso. Inequivocabile l’ armonia  ritmica, l’ austerità delle linee, il bianco modulato in una dimensione ascetica e ultraterrena  con inserimenti di tipologie fisionomiche e di motivi naturalistici. Su tutto il respiro grandioso della misura matematica , intesa come strumento di semplificazione e razionalizzazione dei processi percettivi e operativi. Il quadrato, ad esempio, è, secondo Agostino, il modulor basi, la figura perfetta, che contiene la forma della città celeste descritta dall’ Apocalisse, e sulla sua base diventa fondamentale la moltiplicazione dei semplici rapporti proporzionalmente fissi che  creano lo spazio. Un sistema di semplicità e chiarezza logica, il tutto in un nodo strutturale vincolato alla validità della forma.
Si tratta dunque nel chiostro di una situazione emblematica che risente delle teorie del sistema neoplatonico in quel tempo diffuse  e  che non è da meno della complessità della chiesa di S.Oliva. Qui è l’abside della cappella del Crocefisso (1507, opera, secondo studi non lontani, di Desiderio da Subiaco) che sublima sensazioni ed emozioni in un ideale concezione estetica  che da Agostino arriva alla temperie spirituale della fine del ‘400.
Entrando ci si immerge totalmente in un’ atmosfera visiva di completa rasserenazione ultraterrena, in cui lo spazio è incarnato a misura d’uomo con figure di immediata evidenza e in cui i colori spiccano con pregiata eleganza  nella declinazione di registri timbrici che si svolgono dalle campiture dello sfondo di colore blu alla sua scomposizione fino a toni più chiari, l’ azzurro, ma anche il celeste. Altri colori fortemente “gridati” sono il rosso, il verde, il giallo.
Al di là dei valori stilistici e iconologici, nell’ abside è raffigurata, nella parte alta, l’Incoronazione della Vergine, e, in quella bassa, gli Apostoli, che oltre a presentare il committente, partecipano a ciò che accade in cielo, indicando verso l’ alto con i gesti e con gli occhi, secondo l’ iconografia tradizionale dell’ Assunzione. Gusto cesellato nelle teste, con un segno grafico incisivo e pulito, con un apprezzabile apparato decorativo (ad esempio evidente è la preferenza per il grisaille che incornicia le scene), con un panneggio dalle volute sinuose e tagli particolari dei mantelli fanno pensare alla produzione pinturicchiesca certamente nota alle maestranze che ivi operano.
Siamo indubbiamente su un piano di matura scioltezza ed abilità espressiva che mostra  in profondità la sicurezza lineare di certe espressioni languide e l’anatomia proporzionata, come l’ attimo della tensione emotiva, espresso dagli occhi ora sollevati, ora attoniti, assecondati dal ruotamento leggero delle teste. Il taglio regolare e simmetrico dei visi, la stessa puntigliosa attenzione per dettagli come la capigliatura e la barba, la tunica con le maniche rovesciate, un’ attenzione per l’individuazione fisionomica, la disposizione dei personaggi in un ordine non eccessivamente regolare mostra il connubio fra classicismo e valori gotici che appartengono al prontuario della forma pittorica del Lazio nelle zone di confine  alla fine del ‘400.
Pittura come occasione per presentare valori tattili e di movimento, ma anche per manifestare significati morali e spirituali. La Regina del Cielo, luminosa nella sua purezza e dignità, è circondata da angeli amabili che si sovrappongono l’un l’altro, formando una mandorla mistica e sullo sfondo un trionfo di cherubini: la grazia degli atteggiamenti e la soavità coloristica impreziosisce la superba nobiltà del sentire cristiano.Dalla veduta d’insieme dell’ abside si irradia una bellezza nervosa, sottile, ove misterioso e stranamente penetrante è il suggello lineare che fa divagare il pensiero verso l’ illustrazione spirituale come verso cogitazioni imprecise.

(Dott.ssa Lola Marafini, 22/06/08)
lolamarafini@libero.it

FONDI

La città di Fondi, famosa fin dall’antichità e molto importante per la sua posizione di confine tra la regione laziale e quella campana…

è situata al vertice di una pianura circoscritta dai monti Ausoni ed Aurunci e da un lembo del mar Tirreno. Città limitrofa di Terracina, Monte San Biagio, Lenola, Campodimele, Sperlonga e Itri, conta trentaduemila abitanti e dista 120 km. da Roma, 111 da Napoli, 60 da Latina.

Il territorio ha una estensione di circa 15.000 ettari, reso suggestivo dalla presenza di tre laghi: di Fondi, Lungo e San Puoto. Tra le strade che attraversano il territorio emergono l’Appia, che attraversa la città in tutta la sua ampiezza, e la Flacca, che costeggia il litorale in tutta la sua estensione. Il centro storico accoglie monumenti importanti quali il Castello di Fondi, il Palazzo Baronale, la Giudea e il quartiere ebraico. Al di fuori del centro storico si possono ammirare la Chiesa e il Chiostro di San Francesco e tratti di Appia Antica, che collegava Roma alla lontana Brindisi. Il lido di Fondi, lungo circa 13 km, offre spiaggie di sabbia fine e dorata. In alcuni tratti, risulta essere intatta la duna che caratterizza la costa. Numerosi gli esercizi alberghieri, tra i più grandi d’Italia, che richiamano l’attenzione di numerosi turisti.

FONDI

FONDI

La città di Fondi, famosa fin dall’antichità e molto importante per la sua posizione di confine tra la regione laziale e quella campana…

è situata al vertice di una pianura circoscritta dai monti Ausoni ed Aurunci e da un lembo del mar Tirreno. Città limitrofa di Terracina, Monte San Biagio, Lenola, Campodimele, Sperlonga e Itri, conta trentaduemila abitanti e dista 120 km. da Roma, 111 da Napoli, 60 da Latina.

Il territorio ha una estensione di circa 15.000 ettari, reso suggestivo dalla presenza di tre laghi: di Fondi, Lungo e San Puoto. Tra le strade che attraversano il territorio emergono l’Appia, che attraversa la città in tutta la sua ampiezza, e la Flacca, che costeggia il litorale in tutta la sua estensione. Il centro storico accoglie monumenti importanti quali il Castello di Fondi, il Palazzo Baronale, la Giudea e il quartiere ebraico. Al di fuori del centro storico si possono ammirare la Chiesa e il Chiostro di San Francesco e tratti di Appia Antica, che collegava Roma alla lontana Brindisi. Il lido di Fondi, lungo circa 13 km, offre spiaggie di sabbia fine e dorata. In alcuni tratti, risulta essere intatta la duna che caratterizza la costa. Numerosi gli esercizi alberghieri, tra i più grandi d’Italia, che richiamano l’attenzione di numerosi turisti.

FOSSANOVA

Il piccolo borgo di Fossanova, racchiuso nella suggestiva cornice architettonica della celebre abbazia cistercense, sorge ai piedi dei Monti….

Lepini, a cinque chilometri da Priverno, in un luogo affacciato sulla valle del fiume Amaseno in coincidenza di importanti assi viari di collegamento con la fascia costiera e che, per questo motivo, ha rivestito un ruolo privilegiato nella storia degli stanziamenti locali.
I Romani, sul finire del II secolo a.C., vi costruirono una grande villa a cui fu aggiunto, in età imperiale, un settore termale ancora in parte conservato nel giardino prospiciente l’abbazia.
Il toponimo Fossanova è documentato per la prima volta nel secolo XI a proposito della presenza di un monastero benedettino che Innocenzo II, intorno al 1134, concesso ai monaci dell’ordine Cistercense.
Da questo momento prese il via la costruzione del complesso abbaziale che verrà realizzato, pur riutilizzando molte delle preesistenti strutture romane e benedettine e adattandole alla particolare morfologia del luogo, nel pieno rispetto della tradizione architettonica cistercense.
La chiesa abbaziale dedicata a Santa Maria fu consacrata da Innocenzo III nel 1208. Durante tutto il XIII secolo Fossanova raggiunse l’apice della propria parabola artistica e religiosa.
L’intera struttura monastica con tutti i suoi edifici, caratterizzati da una sobria ma aulica eleganza impreziosita da un raffinato apparato scultoreo, può essere riscoperta in ogni angolo del borgo; il nucleo principale è costituito dalla chiesa con il chiostro su cui ruotano il refettorio, la sala capitolare, l’infermeria dei monaci e la casa dell’abate dove morì, nel 1274, San Tommaso d’Aquino. Fuori si stagliano l’Infermeria dei conversi (oggi sala per attività culturali),la Foresteria (sede del Museo Medievale) e i resti di quello che fu l’ospizio per i pellegrini.
Il suo lento ma inesorabile declino comincerà fra il XIV e il XV secolo per concludersi nell’800, sotto l’occupazione napoleonica, con la confisca di tutto il complesso monastico e la sua trasformazione in borgo rurale. Nel 1874 il Governo Italiano dichiarò finalmente l’abbazia di Fossanova Monumento Nazionale e la chiesa fu riaperta al culto.
Il Borgo e l’abbazia di Fossanova sono stati riconosciuti dalla Regione Lazio come attrattori culturali e inseriti in un piano di valorizzazione e recupero dei siti di pregio e valore storico oltre che architettonico.

(Testi tratti dalla guida Il Sistema Museale urbano curato dalla dott.ssa Margherita Cancellieri – fonte www.comune.priverno.latina.it)

FOSSANOVA

FOSSANOVA

Il piccolo borgo di Fossanova, racchiuso nella suggestiva cornice architettonica della celebre abbazia cistercense, sorge ai piedi dei Monti….

Lepini, a cinque chilometri da Priverno, in un luogo affacciato sulla valle del fiume Amaseno in coincidenza di importanti assi viari di collegamento con la fascia costiera e che, per questo motivo, ha rivestito un ruolo privilegiato nella storia degli stanziamenti locali.
I Romani, sul finire del II secolo a.C., vi costruirono una grande villa a cui fu aggiunto, in età imperiale, un settore termale ancora in parte conservato nel giardino prospiciente l’abbazia.
Il toponimo Fossanova è documentato per la prima volta nel secolo XI a proposito della presenza di un monastero benedettino che Innocenzo II, intorno al 1134, concesso ai monaci dell’ordine Cistercense.
Da questo momento prese il via la costruzione del complesso abbaziale che verrà realizzato, pur riutilizzando molte delle preesistenti strutture romane e benedettine e adattandole alla particolare morfologia del luogo, nel pieno rispetto della tradizione architettonica cistercense.
La chiesa abbaziale dedicata a Santa Maria fu consacrata da Innocenzo III nel 1208. Durante tutto il XIII secolo Fossanova raggiunse l’apice della propria parabola artistica e religiosa.
L’intera struttura monastica con tutti i suoi edifici, caratterizzati da una sobria ma aulica eleganza impreziosita da un raffinato apparato scultoreo, può essere riscoperta in ogni angolo del borgo; il nucleo principale è costituito dalla chiesa con il chiostro su cui ruotano il refettorio, la sala capitolare, l’infermeria dei monaci e la casa dell’abate dove morì, nel 1274, San Tommaso d’Aquino. Fuori si stagliano l’Infermeria dei conversi (oggi sala per attività culturali),la Foresteria (sede del Museo Medievale) e i resti di quello che fu l’ospizio per i pellegrini.
Il suo lento ma inesorabile declino comincerà fra il XIV e il XV secolo per concludersi nell’800, sotto l’occupazione napoleonica, con la confisca di tutto il complesso monastico e la sua trasformazione in borgo rurale. Nel 1874 il Governo Italiano dichiarò finalmente l’abbazia di Fossanova Monumento Nazionale e la chiesa fu riaperta al culto.
Il Borgo e l’abbazia di Fossanova sono stati riconosciuti dalla Regione Lazio come attrattori culturali e inseriti in un piano di valorizzazione e recupero dei siti di pregio e valore storico oltre che architettonico.

(Testi tratti dalla guida Il Sistema Museale urbano curato dalla dott.ssa Margherita Cancellieri – fonte www.comune.priverno.latina.it)

LATINA

Nata col nome di Littoria durante il ventennio fascista, a seguito della bonifica integrale dell’Agro Pontino, e inaugurata il 18 dicembre 1932.

LATINA

LATINA

Nata col nome di Littoria durante il ventennio fascista, a seguito della bonifica integrale dell’Agro Pontino, e inaugurata il 18 dicembre 1932.

PARCO DI NINFA

E’ situato all’interno del Monumento Naturale “Giardino di Ninfa”, istituito dalla Regione Lazio nel 2000 ed ha una superficie di circa 100 ettari….

Il Monumento Naturale ricade interamente nel comune di Cisterna di Latina (LT). Le aree umide, che coprono circa 12 ettari di superficie, sono costituite da stagni, acquitrini e ambienti paludosi, prati umidi e piccoli corsi d’acqua corrente, sono caratterizzate da differenti valori ecologici. I cinque stagni hanno una profondità che varia dai 0.20 ai 1.20 metri ed occupato complessivamente 11 ettari; tre nuclei boschivi, radure e incolti completano il mosaico ambientale dell’area. Sono oltre 100 le specie ornitiche censite tra le quali la rara moretta tabaccata, l’airone rosso, il biancone e il falco di palude. Grazie a finanziamenti europei e regionali, la Fondazione Roffredo Caetani, su un’area di circa cento ettari precedentemente destinata a colture agricole, ha realizzato un’opera di rinaturalizzazione, attraverso la ricostituzione di ambienti umidi che, ampiamente diffusi nel recente passato della Pianura Pontina, sono oggi sostanzialmente scomparsi o identificabili in porzioni limitate. Su un territorio caratterizzato da un elevato valore storico, ambientale e paesaggistico, tuttavia fortemente trasformato da recenti dinamiche economiche e sociali, è stata creata nuova natura attraverso habitat favorevoli al sostegno della rete ecologica e all’incremento della biodiversità. L’idea di rinaturalizzare il terreno dell’azienda agricola della Fondazione Caetani adiacente il Giardino di Ninfa, nacque per caso nel 1991 durante una passeggiata. Al termine del Consiglio Generale della Fondazione, Fulco Pratesi, Presidente del WWF Italia e consigliere della Fondazione, Arturo Osio, Presidente della stessa dal 1998 al 2007, e Lauro Marchetti, Segretario Generale e Direttore del Giardino di Ninfa, fecero una passeggiata fuori la cinta muraria della città morta di Ninfa. Era una giornata luminosa di inizio estate. La spianata che si apriva davanti ai loro occhi era un anonimo campo di erba medica, con pochi alberi. Pochi anche gli uccelli, gli unici canti arrivavano dal Giardino e dai bordi dove erano state piantate diverse querce nel corso degli anni erodendo qualche metro di terreno agricolo. Niente di più. Passeggiarono sul viale delle noci piantato qualche anno prima. Un Germano reale volò sulle loro teste e si posò leggero nel fiume. Fulco Pratesi chiese: “Cosa c’era prima qui?”, “Acquitrini per gran parte dell’anno e tanto verde, abbiamo foto e stampe dell’epoca” rispose Lauro Marchetti. Gli occhi di Fulco Pratesi e di Arturo Osio si spalancarono, Fulco Pratesi disse entusiasticamente: “Vogliamo essere un po’ pazzi? Ricreiamo la palude!”. Nel 1993 sull’inserto del Corriere della Sera, SETTE, uscì l’articolo di Fulco Pratesi con il disegno di massima del progetto. L’idea era di riconsegnare alla natura selvaggia un territorio fortemente trasformato dall’uomo, ma a “vocazione umida” (ricco di risorse idriche), per creare un continuum con il Giardino di Ninfa, giardino spontaneo, dalla forte connotazione naturale, così che, a palude rinata, la città morta di Ninfa, tornasse ad affacciarsi, come era in passato, su una distesa di paludi e boschi. A Pantanello sono stati realizzati sei stagni palustri alimentati dalle acque del fiume Ninfa, differenti per profondità ed estensione: tre stagni della flora, lo stagno degli anfibi con acque ferme prive di fauna ittica, lo stagno degli uccelli con acque profonde per l’avifauna acquatica e prati acquitrinosi stagionali, habitat di numerose specie di insetti, a loro volta nutrimento dell’avifauna. Oltre agli stagni è stata reintrodotta la flora tipica dell’area seguendo gli studi condotti in seguito all’iniziativa lanciata nell’autunno 1992 Centri Studi Ecologici Appenninici per il recupero e il salvataggio della flora Pontina (Progetto Flora Pontina). Inoltre Pantanello si trova su una delle principali rotte migratori di uccelli costituisce quindi un luogo adatto per una sosta ristoratrice, per lo svernamento e per alcune specie, anche per la nidificazione. Pantanello è stato inaugurato il 15 dicembre 2009.

(FONTE www.frcaetani.it/parco-pantanello)

PARCO DI NINFA

PARCO DI NINFA

E’ situato all’interno del Monumento Naturale “Giardino di Ninfa”, istituito dalla Regione Lazio nel 2000 ed ha una superficie di circa 100 ettari….

Il Monumento Naturale ricade interamente nel comune di Cisterna di Latina (LT). Le aree umide, che coprono circa 12 ettari di superficie, sono costituite da stagni, acquitrini e ambienti paludosi, prati umidi e piccoli corsi d’acqua corrente, sono caratterizzate da differenti valori ecologici. I cinque stagni hanno una profondità che varia dai 0.20 ai 1.20 metri ed occupato complessivamente 11 ettari; tre nuclei boschivi, radure e incolti completano il mosaico ambientale dell’area. Sono oltre 100 le specie ornitiche censite tra le quali la rara moretta tabaccata, l’airone rosso, il biancone e il falco di palude. Grazie a finanziamenti europei e regionali, la Fondazione Roffredo Caetani, su un’area di circa cento ettari precedentemente destinata a colture agricole, ha realizzato un’opera di rinaturalizzazione, attraverso la ricostituzione di ambienti umidi che, ampiamente diffusi nel recente passato della Pianura Pontina, sono oggi sostanzialmente scomparsi o identificabili in porzioni limitate. Su un territorio caratterizzato da un elevato valore storico, ambientale e paesaggistico, tuttavia fortemente trasformato da recenti dinamiche economiche e sociali, è stata creata nuova natura attraverso habitat favorevoli al sostegno della rete ecologica e all’incremento della biodiversità. L’idea di rinaturalizzare il terreno dell’azienda agricola della Fondazione Caetani adiacente il Giardino di Ninfa, nacque per caso nel 1991 durante una passeggiata. Al termine del Consiglio Generale della Fondazione, Fulco Pratesi, Presidente del WWF Italia e consigliere della Fondazione, Arturo Osio, Presidente della stessa dal 1998 al 2007, e Lauro Marchetti, Segretario Generale e Direttore del Giardino di Ninfa, fecero una passeggiata fuori la cinta muraria della città morta di Ninfa. Era una giornata luminosa di inizio estate. La spianata che si apriva davanti ai loro occhi era un anonimo campo di erba medica, con pochi alberi. Pochi anche gli uccelli, gli unici canti arrivavano dal Giardino e dai bordi dove erano state piantate diverse querce nel corso degli anni erodendo qualche metro di terreno agricolo. Niente di più. Passeggiarono sul viale delle noci piantato qualche anno prima. Un Germano reale volò sulle loro teste e si posò leggero nel fiume. Fulco Pratesi chiese: “Cosa c’era prima qui?”, “Acquitrini per gran parte dell’anno e tanto verde, abbiamo foto e stampe dell’epoca” rispose Lauro Marchetti. Gli occhi di Fulco Pratesi e di Arturo Osio si spalancarono, Fulco Pratesi disse entusiasticamente: “Vogliamo essere un po’ pazzi? Ricreiamo la palude!”. Nel 1993 sull’inserto del Corriere della Sera, SETTE, uscì l’articolo di Fulco Pratesi con il disegno di massima del progetto. L’idea era di riconsegnare alla natura selvaggia un territorio fortemente trasformato dall’uomo, ma a “vocazione umida” (ricco di risorse idriche), per creare un continuum con il Giardino di Ninfa, giardino spontaneo, dalla forte connotazione naturale, così che, a palude rinata, la città morta di Ninfa, tornasse ad affacciarsi, come era in passato, su una distesa di paludi e boschi. A Pantanello sono stati realizzati sei stagni palustri alimentati dalle acque del fiume Ninfa, differenti per profondità ed estensione: tre stagni della flora, lo stagno degli anfibi con acque ferme prive di fauna ittica, lo stagno degli uccelli con acque profonde per l’avifauna acquatica e prati acquitrinosi stagionali, habitat di numerose specie di insetti, a loro volta nutrimento dell’avifauna. Oltre agli stagni è stata reintrodotta la flora tipica dell’area seguendo gli studi condotti in seguito all’iniziativa lanciata nell’autunno 1992 Centri Studi Ecologici Appenninici per il recupero e il salvataggio della flora Pontina (Progetto Flora Pontina). Inoltre Pantanello si trova su una delle principali rotte migratori di uccelli costituisce quindi un luogo adatto per una sosta ristoratrice, per lo svernamento e per alcune specie, anche per la nidificazione. Pantanello è stato inaugurato il 15 dicembre 2009.

(FONTE www.frcaetani.it/parco-pantanello)

SERMONETA

Il Castello Caetani si erge maestoso sul paese di Sermoneta dominando l’intera Pianura Pontina. Costruito agli inizi del 1200 dagli Annibaldi…

 si arricchì nel tempo di opere di difesa che dovevano renderlo quasi inespugnabile.

Conobbe assalti e guerre, ospiti famosi (Federico III nel 1452, Carlo V nel 1536, Lucrezia Borgia che ne fu “padrona” quando Papa Alessandro VI Borgia espropriò i Caetani) e momenti di pace festosa.
Il castello è certamente uno dei monumenti tra i più integri dell’antica architettura medievale del Lazio e dell’Italia. Alla Fondazione Roffredo Caetani è affidata la sua custodia e conservazione. Della rocca del XII sec., costruita dagli Annibaldi, rimangono solamente il Maschio e la controtorre detta Maschietto che dominano una corte quadrangolare (Piazza D’Armi). Il resto fu demolito dagli stessi Caetani quando ricostruirono la Sala dei Baroni (modificata nel XV secolo dai Borgia) e il contiguo edificio detto “Casa delle Camere Pinte”. Sul finire del 1400 fu costruita la Casa del Cardinale Valentino Borgia. Sempre i Borgia completarono il complesso edilizio con opere di fortificazione comprendenti anche la “Cittadella” su disegno di Antonio da Sangallo.
All’esterno di questi edifici una poderosa cinta muraria, ancora nella sua veste originaria, li avvolge e li protegge.
Nel recente passato, durante la battaglia di Anzio del 1944, il Castello è stato abitato ancora dai Caetani e dai loro coloni fuggiti dalla Pianura Pontina. Successivamente ha ospitato giovani interessati a problemi sociali e ragazzi dei paese bisognosi di educazione e di studio.
Il Castello si presenta oggi, nonostante i secoli trascorsi, integrato con il paese che lo circonda. Attualmente, e già da più di un quarto di secolo, il castello diviene luogo di incontri culturali ed è abitato per un lungo periodo dell’anno da artisti e studiosi di varie discipline. In primavera ci sono i restauratori dei dipinti murali dei corsi organizzati dall’ICCROM (Centro Internazionale degli Studi per la Conservazione ed il Restauro dei Beni Culturali). Il lavoro dei corsisti sugli affreschi all’interno della “Casa della Camera dei Pinti” o sui graffiti delle prigioni e della facciata dell’edificio Vecchia Cucina – Casa Camere Pinte, rappresenta il movimento applicativo e conclusivo del corso teorico che si svolge per tutto l’anno a Roma. In estate il Castello diviene sede naturale del Festival Pontino di Musica (fondato nel 1963 da Lelia Caetani e dal suo consorte Hubert Howard in memoria dello scomparso Roffredo Caetani, musicista-compositore) e centro di studi musicali di interpretazione e perfezionamento strumentale organizzati dal Campus Internazionale di Musica di Latina. Oltre al Festival Pontino si svolgono saltuariamente stages di architettura, urbanistica, sociologia, ecologia, mostre, congressi e altre attività che si protraggono per tutto l’inverno, quando il Castello è oggetto prevalentemente di visite da parte di turisti e alunni delle scuole.

APERTURA AL PUBBLICO:
Tutti i giorni tranne il Giovedì si può visitare il Castello nei seguenti orari:
– 10.00 – 11.00 – 12.00
– da ottobre a marzo 14.00 – 15.00 – 16.00
– da aprile a settembre 15.00 – 16.00 – 17.00 – 18.00
(nei giorni festivi anche 18.30)
Per informazioni e prenotazioni (obbligatoria per i gruppi) telefonare al num 0773 30008.

(FONTE www.comunedisermoneta.it)

SERMONETA

SERMONETA

Il Castello Caetani si erge maestoso sul paese di Sermoneta dominando l’intera Pianura Pontina. Costruito agli inizi del 1200 dagli Annibaldi…

 si arricchì nel tempo di opere di difesa che dovevano renderlo quasi inespugnabile.

Conobbe assalti e guerre, ospiti famosi (Federico III nel 1452, Carlo V nel 1536, Lucrezia Borgia che ne fu “padrona” quando Papa Alessandro VI Borgia espropriò i Caetani) e momenti di pace festosa.
Il castello è certamente uno dei monumenti tra i più integri dell’antica architettura medievale del Lazio e dell’Italia. Alla Fondazione Roffredo Caetani è affidata la sua custodia e conservazione. Della rocca del XII sec., costruita dagli Annibaldi, rimangono solamente il Maschio e la controtorre detta Maschietto che dominano una corte quadrangolare (Piazza D’Armi). Il resto fu demolito dagli stessi Caetani quando ricostruirono la Sala dei Baroni (modificata nel XV secolo dai Borgia) e il contiguo edificio detto “Casa delle Camere Pinte”. Sul finire del 1400 fu costruita la Casa del Cardinale Valentino Borgia. Sempre i Borgia completarono il complesso edilizio con opere di fortificazione comprendenti anche la “Cittadella” su disegno di Antonio da Sangallo.
All’esterno di questi edifici una poderosa cinta muraria, ancora nella sua veste originaria, li avvolge e li protegge.
Nel recente passato, durante la battaglia di Anzio del 1944, il Castello è stato abitato ancora dai Caetani e dai loro coloni fuggiti dalla Pianura Pontina. Successivamente ha ospitato giovani interessati a problemi sociali e ragazzi dei paese bisognosi di educazione e di studio.
Il Castello si presenta oggi, nonostante i secoli trascorsi, integrato con il paese che lo circonda. Attualmente, e già da più di un quarto di secolo, il castello diviene luogo di incontri culturali ed è abitato per un lungo periodo dell’anno da artisti e studiosi di varie discipline. In primavera ci sono i restauratori dei dipinti murali dei corsi organizzati dall’ICCROM (Centro Internazionale degli Studi per la Conservazione ed il Restauro dei Beni Culturali). Il lavoro dei corsisti sugli affreschi all’interno della “Casa della Camera dei Pinti” o sui graffiti delle prigioni e della facciata dell’edificio Vecchia Cucina – Casa Camere Pinte, rappresenta il movimento applicativo e conclusivo del corso teorico che si svolge per tutto l’anno a Roma. In estate il Castello diviene sede naturale del Festival Pontino di Musica (fondato nel 1963 da Lelia Caetani e dal suo consorte Hubert Howard in memoria dello scomparso Roffredo Caetani, musicista-compositore) e centro di studi musicali di interpretazione e perfezionamento strumentale organizzati dal Campus Internazionale di Musica di Latina. Oltre al Festival Pontino si svolgono saltuariamente stages di architettura, urbanistica, sociologia, ecologia, mostre, congressi e altre attività che si protraggono per tutto l’inverno, quando il Castello è oggetto prevalentemente di visite da parte di turisti e alunni delle scuole.

APERTURA AL PUBBLICO:
Tutti i giorni tranne il Giovedì si può visitare il Castello nei seguenti orari:
– 10.00 – 11.00 – 12.00
– da ottobre a marzo 14.00 – 15.00 – 16.00
– da aprile a settembre 15.00 – 16.00 – 17.00 – 18.00
(nei giorni festivi anche 18.30)
Per informazioni e prenotazioni (obbligatoria per i gruppi) telefonare al num 0773 30008.

(FONTE www.comunedisermoneta.it)

VALVISCIOLO

L’Abbazia di Valvisciolo è situata nel territorio di Sermoneta ai piedi del Monte Corvino, a meno di 100 metri sul livello del mare…

L’Abbazia di Valvisciolo è situata nel territorio di Sermoneta ai piedi del Monte Corvino, a meno di 100 metri sul livello del mare; i monti la proteggono dai venti del nord; dall’ampio piazzale lo sguardo si spinge verso la pianura pontina fino al mare. E’ dedicata al protomartire Santo Stefano. La Storia di questo monastero è complessa. Anche il nome nasconde una parte di mistero. Valvisciolo può significare Valle dell’Usignolo (vallis lusciniae) o Valle delle Visciole (una varietà di ciliegie selvatiche). E’ assodato che in origine il nome individuasse un altro monastero cistercense in territorio di Carpineto Romano, del quale oggi rimangono scarsi ruderi. All’inizio del secolo XIV i monaci di Carpineto abbandonarono i loro monti e si trasferirono nel nuovo monastero al quale attribuirono l’avito nome di Valvisciolo.  La tradizione vuole che il primo insediamento monastico in questa zona avvenisse ad opera dei monaci basiliani di San Nilo. Sempre secondo la tradizione, il monastero fu abitato dai Cavalieri Templari che vi rimasero fino alla soppressione del loro ordine ai primi del XIV secolo. L’intero complesso è costituito dalla Chiesa, dalla Sala Capitolare, dal Refettorio e dal Chiostro, che rappresenta il centro del complesso e la parte più elegante di Valvisciolo.

(FONTE www.comunedisermoneta.it)
Foto e altre info su www.sentiero.eu

VALVISCIOLO

VALVISCIOLO

L’Abbazia di Valvisciolo è situata nel territorio di Sermoneta ai piedi del Monte Corvino, a meno di 100 metri sul livello del mare…

L’Abbazia di Valvisciolo è situata nel territorio di Sermoneta ai piedi del Monte Corvino, a meno di 100 metri sul livello del mare; i monti la proteggono dai venti del nord; dall’ampio piazzale lo sguardo si spinge verso la pianura pontina fino al mare. E’ dedicata al protomartire Santo Stefano. La Storia di questo monastero è complessa. Anche il nome nasconde una parte di mistero. Valvisciolo può significare Valle dell’Usignolo (vallis lusciniae) o Valle delle Visciole (una varietà di ciliegie selvatiche). E’ assodato che in origine il nome individuasse un altro monastero cistercense in territorio di Carpineto Romano, del quale oggi rimangono scarsi ruderi. All’inizio del secolo XIV i monaci di Carpineto abbandonarono i loro monti e si trasferirono nel nuovo monastero al quale attribuirono l’avito nome di Valvisciolo.  La tradizione vuole che il primo insediamento monastico in questa zona avvenisse ad opera dei monaci basiliani di San Nilo. Sempre secondo la tradizione, il monastero fu abitato dai Cavalieri Templari che vi rimasero fino alla soppressione del loro ordine ai primi del XIV secolo. L’intero complesso è costituito dalla Chiesa, dalla Sala Capitolare, dal Refettorio e dal Chiostro, che rappresenta il centro del complesso e la parte più elegante di Valvisciolo.

(FONTE www.comunedisermoneta.it)
Foto e altre info su www.sentiero.eu